Poi io fui inviato alla camera di sopra, dal «Capitano Hopkins», coi saluti del signor Micawber, per dire che io ero il suo giovane amico, e domandare al capitano Hopkins di prestarmi per gentilezza un coltello e una forchetta.
Il capitano Hopkins mi prestò il coltello e la forchetta coi suoi saluti al signor Micawber. Vi era una signora molto sudicia in quella cameretta, e due ragazze pallide, le figliuole, con delle chiome scarmigliate in modo repugnante. Pensai che fosse meglio farsi prestare il coltello e la forchetta del capitano Hopkins, che il pettine del capitano Hopkins; il quale era anche lui nel peggiore arnese, con delle fedine enormi e un decrepito soprabito bruno, che non copriva nessun altro indumento. Vidi il suo letto arrotolato in un angolo; e tutti i piatti e i tondi e i vasi che possedeva su una mensoletta, e indovinai (Dio sa come!) che, benché le due ragazze con le chiome scarmigliate in modo repugnante fossero figlie del capitano Hopkins, la signora sudicia non era maritata al capitano Hopkins. La mia timida sosta su quella soglia non occupò più d’un paio di minuti al massimo; ma ridiscesi così sicuro delle cognizioni che avevo appreso, come d’avere in mano il coltello e la forchetta.
Dopo tutto, nel desinare vi fu qualche cosa di piacevolmente zingaresco. Nel pomeriggio riportai subito la forchetta e il coltello al capitano Hopkins, e tornai a casa a confortare, col racconto della mia visita, la signora Micawber, che svenne, quando mi vide entrare, e fece uno zabaione dopo per consolar me e se stessa durante la narrazione.
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