Il padrone della bottega era seduto sulla porta in maniche di camicia, e fumava: e siccome ciondolavano dal soffitto molte giacche e molte paia di calzoni, illuminate da due fioche candele, la sua figura mi suggerì l’idea d’un uomo vendicativo, che avesse impiccato tutti i suoi nemici, e stesse a contemplarseli soddisfatto.
L’esperienza acquistata nei miei rapporti col signore e la signora Micawber mi fece pensare che avevo forse ancora il mezzo di tener lontana la fame per qualche poco. Entrai in un vicoletto vicino, mi tolsi la sottoveste, l’arrotolai con garbo, me la misi sotto il braccio, e mi presentai sulla porta della bottega.
– Per piacere – dissi – vorrei vendere questa sottoveste a un prezzo conveniente.
Dolloby – non so se fosse lui; ad ogni modo sulla porta della bottega c’era scritto Dolloby – prese la sottoveste, depose la pipa contro uno stipite della porta, entrò nella bottega, precedendomi, smoccolò le due candele con le dita, allargò la sottoveste sul banco e la esaminò, la levò distesa contro luce, la riesaminò, e finalmente disse:
– E così, quanto chiedete per questo cencio?
– Oh, voi lo sapete meglio di me! – risposi modestamente.
– Io non posso essere compratore e venditore nello stesso tempo – disse Dolloby. – Dite voi il prezzo di questo cencio.
– Se dicessi due lire? – accennai, dopo un istante di esitazione.
Dolloby arrotolò di nuovo la sottoveste e me la restituì.
– Deruberei la mia famiglia – egli disse – se ve ne dessi più di una.
Presentata in questi termini, la cosa non era lusinghiera: si attribuiva a me, perfettamente estraneo, il reo proposito di indurre Dolloby a derubare la sua famiglia in mio favore.
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Micawber Dolloby Dolloby Dolloby
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