Che mattina di domenica diversa dalle antiche mattine di domenica a Yarmouth! Mentre andavo innanzi, sentivo, all’ora consueta, sonar le campane. Incontrai della gente che andava in chiesa. Passai innanzi a qualche chiesa già gremita di fedeli. L’eco dei canti usciva fuori al sole, e lo scaccino, seduto sotto il portico, all’ombra d’un cipresso, a prendere il fresco, seguiva, con la mano alla fronte e con sguardi sospettosi, i miei passi. Ma la pace e la quiete della mattina della domenica era in ogni oggetto, tranne che in me. Questa era la differenza. Così impolverato, e sudicio, e scarmigliato, mi sentivo malvagio. Solo la serena immagine, alla quale io pensavo, di mia madre nella sua giovinezza e nella sua bellezza, mi diede il coraggio di continuare ad andare fino al giorno appresso. Essa m’era sempre dinanzi, ed io la seguivo.
Quella domenica feci ventitré miglia sulla strada maestra, non agevolmente, s’intende, perché ero nuovo a quel genere di esercizio. Ripensandoci, mi riveggo, mentre cade la sera, varcare il ponte di Rochester, coi piedi contusi e doloranti, sbocconcellando il pane che avevo comprato per la cena. Ero stato tentato da una o due casette che avevano la scritta: «Alloggio per i viaggiatori», sospesa al di fuori; ma temevo di spendere quei pochi soldi che possedevo, e anche più i tristi sguardi dei vagabondi che avevo incontrati od oltrepassati. Non cercai, perciò, altro riparo che il cielo, e passando per Chatham – che, in quella notte, m’apparve come un sogno di calce, di ponti levatoi e di bastimenti disalberati in un fiume fangoso – m’inerpicai, finalmente, su una specie di baluardo erboso a picco su un viottolo dove passeggiava innanzi e indietro una sentinella.
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