Tutto mi parve molto bello, e mi proposi di dormire fra i luppoli quella sera, parendomi una lieta compagnia quella lunga prospettiva di pali, inghirlandati di foglie.
I vagabondi m’apparivan più tristi che mai quel giorno e m’incutevano una paura, di cui conservo ancora vivissimo il ricordo. Alcuni avevano una faccia di bricconi matricolati, e mi saettavan di malvagi sguardi; e si fermavano, a volte, gridandomi di tornare indietro o aspettarli; e, se io m’affidavo alle gambe, mi tiravan dei sassi. Ricordo un giovane – un calderaio, a giudicar dal saccone che aveva addosso e dal braciere – che viaggiava con una donna, e mi squadrò tutto, saettandomi d’occhiate sinistre; e poi mi gridò con voce così terribile e imperiosa di tornare indietro, che voltandomi mi fermai.
– Vieni qui, quando ti chiamo – disse il calderaio – o t’apro la pancia.
Giudicai prudente d’ubbidirgli. Andando verso di lui, e tentando di propiziarmelo con gli sguardi, osservai che la donna aveva un occhio livido.
– Dove vai? – disse il calderaio, afferrandomi di petto della camicia con la mano annerita.
– Vado a Dover – dissi.
– E di dove vieni? – chiese il calderaio, dando alla mano un altro giro nella camicia, per tenermi più forte.
– Da Londra – dissi.
— Che mestiere fai? – disse il calderaio. – Sei un ladro?
– N... no – dissi.
– No? Guarda che se tu credi di spacciarti onesto con me, ti faccio saltare le cervella.
Con la mano libera, fece l’atto di colpirmi, e poi mi squadrò da capo a piedi.
– Hai addosso i soldi per una pinta di birra?
| |
Dover Londra Sei
|