Giannina era una bella ragazza di diciannove o venti anni e il ritratto perfetto della pulizia. Benché non osservassi altro in lei in quell’istante, mi si conceda di dire qui ciò che scopersi in appresso, che ella formava, cioè, parte di una schiera di protette che mia zia aveva successivamente assunte in suo servizio con l’espresso scopo di educarle alla rinuncia del mondo, e che avevano generalmente coronato la loro abiura con lo sposare i garzoni del fornaio.
La stanza aveva la stessa nitidezza di Giannina o di mia zia. Deponendo la penna, un momento fa, ripensandoci, ho sentito di nuovo passare un soffio d’aria marina insieme col profumo dei fiori; e ho rivisto i mobili antichi fortemente lucidati e brillanti, l’inviolabile poltrona di mia zia e la ventola verde sulla finestra, il tappeto sotto la guida, il gatto, i due canarini, le vecchie porcellane, il vaso da tè pieno di foglie di rosa disseccate, il grosso armadio che aveva in custodia ogni sorta di bottiglie e di vasi, e, in meraviglioso disaccordo con tutto il resto, sul canapè, la mia persona sudicia e impolverata, nell’atto di osservare ogni cosa.
Giannina era andata via a preparare il bagno, quando mia zia, con mio gran spavento, si dipinse in un momento di violenta indignazione ed ebbe appena la forza di gridare: «Giannina! Gli asini!».
A questo, Giannina discese correndo per le scale, come se la casa fosse in fiamme, uscì come una freccia su un praticello verde, innanzi al giardino, e ne espulse due asini insellati, con due donne a cavallo, per la sfrontatezza di averlo profanato coi loro zoccoli; mentre mia zia, precipitatasi anche lei fuori, s’impadroniva della cavezza d’un terzo animale sul quale andava a cavalcioni un bambino, lo faceva voltare, se lo traeva lontano da quei limiti sacri, e schiaffeggiava il disgraziato piccolo asinaio a piedi, che aveva osato violare quel terreno vietato.
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Giannina Giannina
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