Non so neppur ora se mia zia avesse un legittimo diritto di passaggio su quel pezzo di verde; ma era perfettamente convinta di averlo, e si regolava in conseguenza. La maggiore ingiuria che le si potesse fare, e quella che doveva essere costantemente vendicata, era il passaggio d’un asino su quell’erba immacolata. In qualunque cosa fosse affaccendata, comunque viva e animata la conversazione alla quale ella poteva partecipare, un asino aveva il potere di stornarle immediatamente il corso delle idee, facendola balzare di scatto, e uscire difilato a cacciarlo dal praticello. Vasi pieni d’acqua e annaffiatoi erano nascosti in luoghi segreti, pronti ad essere scaricati sui ragazzi violatori del confine; bastoni stavano in agguato dietro la porta; si facevano sortite in tutti i momenti; e la guerra era sempre aperta. Forse questa era una ragione di continua tentazione per i piccoli asinai, o forse gli asini più sagaci, comprendendo lo stato delle cose, secondavano lieti la loro naturale ostinazione nel varcare quel passaggio vietato. So soltanto che vi furono tre allarmi prima che il bagno fosse pronto; e che nell’ultimo assalto, il più terribile, vidi mia zia, armata delle sole mani, e in lotta con un biondo ragazzo quindicenne, battergli più volte la testa contro il cancello, prima ch’egli arrivasse a comprender perché. Ma occupata, com’era allora, a darmi il brodo con un cucchiaio (era fermamente persuasa che io stessi positivamente morendo di fame, e dovevo essere alimentato prima a piccole dosi), quelle sue interruzioni m’apparvero anche più ridicole del naturale; ché, mentre spalancavo la bocca per ricevere il cucchiaio, ella lo rimetteva nella scodella, gridando: « Giannina!
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