Gli asini!», e usciva all’assalto.
Il bagno fu un gran sollievo. Cominciavo, per aver dormito all’aperto, a sentire dei dolori acuti alle ossa, ed ero così stanco e depresso, che duravo gran fatica a tenermi sveglio per cinque minuti di seguito. Finito il bagno, esse (mia zia e Giannina, cioè) mi avvolsero in una camicia e in un paio di calzoni del signor Dick, e mi legarono in due o tre grandi scialli. Non so a quale strano fagotto rassomigliassi, ma certo a un fagotto assai caldo. Sentendomi sempre debole e sonnecchiante, mi allungai sul canapè di nuovo, e m’addormentai.
Forse fu un sogno, nato da quello che mi aveva occupato a lungo lo spirito, ma mi svegliai con l’impressione che mia zia si fosse avvicinata e chinata su di me, e mi avesse scostato dal viso i capelli, e rassettato meglio il guanciale perché la mia testa posasse più comoda, e poi fosse rimasta ritta a guardarmi. Avevo anche nelle orecchie le parole: «Bello», « Poverino»; ma certo non vidi nulla, quando mi svegliai, che m’inducesse a credere che fossero state pronunziate da mia zia, la quale, seduta accanto alla finestra, dietro la ventola verde, che girava su una specie di perno, aveva gli sguardi fissi sul mare.
Desinammo, appena fui desto, con un pollo arrosto e un budino, e stetti a tavola anch’io impastoiato come un pulcino, movendo con molta difficoltà le braccia. Ma siccome mi aveva fasciato mia zia, non ardii minimamente lagnarmi di quegli impacci. Nel frattempo, ero ansiosissimo di sapere che cosa avrebbe fatto di me; ma ella mangiava senza dir sillaba, tranne che di tanto in tanto fissava gli occhi su di me che le sedevo dirimpetto, ed esclamava: «Misericordia!
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Giannina Dick
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