Dopo il tè, sedemmo presso la finestra – in vedetta, a giudicare dalle impazienti e vive occhiate di mia zia, di nuovi invasori – fino al crepuscolo, allorché Giannina mise sulla tavola le candele e un gioco di dama, e tirò giù le cortine. – Ora, Dick – disse mia zia, col suo sguardo grave e l’indice sollevato come prima – io debbo farti un’altra domanda. Guarda questo ragazzo.
– Il figlio di Davide? – disse il signor Dick con aria d’attenzione e d’imbarazzo.
– Appunto – rispose mia zia. – Ora che faresti di lui?
– Che farei del figlio di Davide? – disse il signor Dick.
– Sì – rispose mia zia – del figlio di Davide.
– Ah! – disse il signor Dick. – Sì. Lo... metterei a letto.
– Giannina – gridò mia zia con la stessa aria di trionfo, che avevo dianzi notata. – Dick ha sempre ragione. Se il letto è pronto, andiamo a coricarlo.
Avendo Giannina assicurato che il letto era pronto, io ci fui condotto; gentilmente, ma in qualche modo come un prigioniero: mia zia innanzi, e Giannina alla retroguardia. L’unica cosa che mi diede qualche nuova speranza fu l’improvvisa sosta di mia zia sulle scale per saper che fosse quel puzzo di bruciato che si sentiva; e la risposta di Giannina di aver buttato la mia camicia sbrindellata nel camino della cucina. Non vi erano altri abiti nella mia camera che il vecchio mucchio di cenci che avevo indossato; e quando fui lasciato solo con un moccoletto che mia zia prevedeva avrebbe arso ancora per cinque minuti precisi, la sentii chiudere la porta dal di fuori. Volgendo in mente questo, giudicavo probabile che mia zia, la quale non mi conosceva affatto, potesse sospettare ch’io avessi l’abitudine di fuggire, e che, quindi, prendesse le sue precauzioni per tenermi sicuramente custodito.
| |
Giannina Dick Davide Dick Davide Dick Davide Dick Dick Giannina Giannina Giannina
|