– Su, tua sorella Betsey Trotwood mi avrebbe detto subito sinceramente ciò che pensava di chiunque. Imita più che puoi tua sorella, e parla.
– Che... il signor Dick... Lo domando, perché non lo so, zia... Che egli sia un po’ matto? – balbettai, perché sentivo d’essere su un terreno pericoloso.
– Neppur per ombra – disse mia zia.
– Oh, veramente! – osservai con voce fioca.
– Se v’è cosa al mondo – disse mia zia con la maggiore energia e fermezza – che il signor Dick non sia, è proprio questa.
Non ebbi nulla di meglio da dire che un altro timido «Oh, veramente!».
– Egli è stato chiamato matto – disse mia zia. – Ho un egoistico piacere nel dire che è stato chiamato matto, perché se no, non avrei avuto il piacere della sua compagnia e dei suoi consigli da dieci anni a questa parte... e precisamente da quando tua sorella Betsey Trotwood mi diede la delusione che sai.
– Da tanto tempo? – domandai.
– Ed erano proprio persone a modo quelle che ebbero l’audacia di chiamarlo matto! – proseguì mia zia. – Dick è un mio parente lontano; non importa in che modo; è inutile spiegare in che modo. Suo fratello, se non fosse stato per me, l’avrebbe tenuto rinchiuso vita natural durante. Ecco quanto!
Credo che fosse un po’ un’ ipocrisia la mia; ma, vedendo che mia zia parlava con un’aria risentita della cosa, cercai anch’io d’assumere un’aria di risentimento.
– Uno stupido presuntuoso! – disse mia zia. – Perché suo fratello era un po’ eccentrico... in verità non è più eccentrico di tanti altri... non volle che stesse in casa sua, e lo mandò in una casa di salute, mentre il loro defunto padre, che lo credeva quasi idiota, glielo aveva raccomandato particolarmente.
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