Ti ha detto qualche cosa di Carlo I, piccino?
– Sì, zia.
– Ah! – disse mia zia, stropicciandosi il naso, come se fosse un po’ contrariata. – È una maniera allegorica di parlare della sua malattia. La connette nel suo spirito a una grande agitazione e un gran turbamento, e usa una similitudine, un paragone, come si dice. E perché non dovrebbe farlo, se gli viene a proposito?
Io dissi:
– Certo, zia.
– Non è il linguaggio degli affari – disse mia zia – né il linguaggio comune, lo so. Perciò io insisto che non ne parli nel suo memoriale.
– Che! Scrive la sua autobiografia, zia?
– Sì, piccino – disse mia zia, stropicciandosi di nuovo il naso. – Egli scrive una memoria su di sé, indirizzata al lord Cancelliere, o al lord tal di tale... a uno di quelli, insomma, che sono pagati per leggere le memorie. Gliela manderà uno di questi giorni, immagino. Non è ancora riuscito ad estenderla senza introdurvi quella sua allegoria, ma non importa; intanto si occupa di qualche cosa.
Dopo scoprii, infatti, che il signor Dick, da più di dieci anni, si sforzava di tener Carlo I lontano dal suo memoriale. Ma Carlo I c’era costantemente entrato, e ci entrava ancora.
– Ripeto – disse mia zia – nessuno, all’infuori di me, può e sa apprezzare il suo buon senso, ed egli è l’essere più affettuoso e docile del mondo. Che c’è da ridire se a volte gli piace di sciogliere all’aria un aquilone? Anche Franklin soleva sciogliere gli aquiloni, e se non erro, era un quacquero o qualche cosa di simile; e un quacquero che scioglie un aquilone è molto più ridicolo degli altri.
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