Il signor Dick e io saremmo usciti a sciogliere il volo del gigantesco aquilone; ma avevo ancora addosso gli abiti poco ostensibili, coi quali mi avevano infagottato, il primo giorno, ed ero costretto a rimanere in casa, tranne per un’ora la sera al buio, quando mia zia, per misura igienica, mi mandava a passeggiare su e giù sullo scoglio vicino prima di andare a letto. Finalmente giunse la risposta del signor Murdstone, e mia zia m’informò, con mio gran sgomento, che il giorno appresso sarebbe venuto lui stesso in persona a parlarle. Il giorno appresso, ancora infagottato nel mio strano costume, stetti a contare i minuti, agitato vivamente dal conflitto delle speranze che crollavano, e delle paure che sorgevano in me: nel continuo timore di veder arrivare il fosco viso che, pur non arrivando, m’intimoriva ogni momento.
Mia zia era un po’ più imperiosa e grave del solito, ma, tranne questo, non osservai altro segno in lei di preparazione a ricevere un visitatore da me tanto temuto. Si mise a lavorare nel vano della finestra, e io me le sedetti accanto, fin tardi nel pomeriggio, col pensiero che mi correva lontano, su tutti i risultati probabili e improbabili, della visita del signor Murdstone. Il pranzo era stato indefinitamente rimandato a più tardi, ma poi mia zia, nell’atto che ordinava che venisse apparecchiato, diede improvvisamente l’allarme alla vista d’un asino, e allora io, con mio gran stupore e costernazione, potei contemplare la signorina Murdstone, cavalcare in sella risolutamente sul praticello sacro, e fermarsi innanzi alla casa, guardandosi intorno.
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