– Sarò incantato – disse il signor Dick – d’esser tutore del figlio di Davide.
– Benissimo – rispose mia zia – questo è stabilito. Son stata a pensare, sai, Dick, che potrei chiamarlo Trotwood?
– Certo, certo. Chiamatelo Trotwood, certo – disse il signor Dick. – Trotwood del figlio di Davide.
– Trotwood Copperfield, vuoi dire – rispose mia zia.
– Sì, certo, sì... Trotwood Copperfield – disse il signor Dick, un po’ confuso.
A mia zia piacque tanto l’idea, che il vestito bell’e fatto che fu comprato per me nel pomeriggio, fu contrassegnato prima che lo indossassi, «Trotwood Copperfield» di mano sua con inchiostro indelebile; e fu stabilito che tutti gli altri vestiti ordinati su misura in quel pomeriggio (si contrattò per un corredo completo) dovessero essere contrassegnati nello stesso modo.
Così cominciai la mia nuova vita, con un nome nuovo, e ogni cosa nuova intorno a me. Scomparso il mio senso d’incertezza, mi sentii, per molti giorni, come in un sogno. Non pensai mai che in mia zia e nel signor Dick avessi una coppia di tutori veramente originale. Non pensavo chiaramente a nulla che mi riguardasse. Le due cose più chiare nel mio spirito erano che l’antica vita di Blunderstone mi sembrava una cosa molto remota, perduta nella nebbia di una distanza incommensurabile; e che era caduta una cortina su quella che avevo condotta nel magazzino di Murdstone e Grinby. Nessuno ha mai più sollevato quella cortina. Io l’ho fatto, per un istante, in questa narrazione, con mano riluttante, e l’ho lasciata ricadere con gioia.
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