Il ricordo di quella vita m’è così grave di sofferenze, pieno di tanta angoscia e così vuoto di speranze, che non ho mai avuto il coraggio di calcolarne la durata. Non so se si fosse prolungata un anno, o più, o meno. So soltanto che fu, e cessò, e che l’ho narrata per non tornarci mai più.
XV.
UN ALTRO INIZIO
Il signor Dick e io diventammo subito i migliori amici del mondo. Spessissimo, quando egli aveva finito il suo lavoro quotidiano, uscivamo insieme a sciogliere a volo il gigantesco aquilone. Tutti i giorni egli si occupava lungamente al memoriale che non procedeva mai del minimo passo, per quanto lavorasse accanitamente, perché prima o poi ci si insinuava Carlo I e allora lo metteva da parte per incominciarne un altro. La pazienza e la speranza con cui sopportava quei continui disappunti, la sua malferma convinzione che Carlo I non ci dovesse entrare, i vaghi sforzi che faceva per allontanarnelo, e la persistenza con cui quegli si presentava, mandando a catafascio l’intero memoriale, tutto questo mi faceva una grande impressione. Che cosa il signor Dick si proponesse di fare con quel memoriale, dopo che l’avesse finito, dove pensasse di condurlo, o a che cosa gli dovesse servire, non credo lo sapesse neppur lui. Ma non era necessario che egli stesse a pensare a simili inezie, perché se c’era una cosa certa sotto il sole, era questa: che il memoriale non sarebbe stato mai finito. Era uno spettacolo commovente, solevo pensare, veder il signor Dick con l’aquilone quando questo si sollevava a una grande altezza in aria.
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