Sono stato un momento occupato, e vi prego di scusarmi. Voi sapete il mio scopo. Non ne ho che uno al mondo.
La signora Betsey lo ringraziò, e lo seguimmo nella sua stanza ch’era arredata come quella di un uomo d’affari, con libri, carte, scatole di latta, e così via. La stanza guardava su un giardino, e aveva una cassaforte di ferro incastrata nel muro, così a ridosso della cappa del caminetto, che mi domandai come potessero passarci di dietro gli spazzacamini quando dovevano spazzarne la canna.
– Bene, signora Trotwood – disse il signor Wickfield; perché seppi subito ch’era lui, e che era avvocato, e amministratore dei beni d’un ricco signore della contea. – Che vento vi mena qui? Non un cattivo vento, spero?
– No – rispose mia zia – non son venuta per motivi di giustizia.
– Molto meglio, signora – disse il signor Wickfield; – molto meglio venire per qualche altra cosa.
Egli ora aveva i capelli perfettamente candidi, ma le sopracciglia ancora nere: il viso piacente, e, pensavo, bello. Nel colorito mostrava una certa vivacità, che da molto io ero abituato, grazie agl’insegnamenti di Peggotty, ad attribuire al vino di Porto; e alla stessa causa attribuii il tono della sua voce e la sua pinguedine già più che incipiente. Era vestito con molta lindura, in un abito turchino, sottoveste a strisce e calzoni di cotone, e il fine sparato della camicia e la cravatta di batista apparivano così morbidi e bianchi, che rammentarono alla mia immaginazione errabonda il petto candido d’un cigno.
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