– Ma nel frattempo potrebbe stare a pensione in qualche altra parte, credo? – suggerì mia zia.
Il signor Wickfield credeva di sì. Dopo un po’ di discussione, offrì a mia zia di condurla a visitare la scuola, perché potesse vederla e giudicare da sé; e poi, di condurla, con lo stesso scopo, in due o tre case dove egli credeva io potessi stare a pensione. La proposta piacque a mia zia, e stavamo uscendo tutti e tre, quando egli si fermò per dire:
– Il nostro piccolo amico qui presente potrebbe, forse, avere qualche scopo per non accompagnarci. Non sarebbe meglio lasciarlo qui?
Mia zia pareva inclinata a contestar la cosa; ma per facilitare l’escursione, dissi che, se avessero così voluto, li avrei aspettati lì volentieri; e ritornai nello studio del signor Wickfield, dove, in attesa, mi sedetti nella sedia già dianzi occupata.
La sedia era messa di fronte a un corridoio vicino, che finiva, nella stanzina circolare, dalla cui finestra avevo visto apparire la pallida faccia di Uriah Heep. Uriah, dopo aver condotto il cavallino in una stalla vicina, s’era messo al lavoro in quella stanza, a uno scrittoio a piano inclinato che terminava al di sopra con una intelaiatura d’ottone alla quale s’appoggiavano le carte, e alla quale era appoggiato il manoscritto di cui egli allora faceva la copia. Benché il suo viso fosse voltato dalla mia parte, per qualche tempo credetti che, per l’interposizione del manoscritto, egli non potesse vedermi; ma, guardando con più attenzione, m’accorsi, con un certo fastidio, che, di tanto in tanto, i suoi occhi insonni sbucavano di sotto il manoscritto come due soli rossi, e furtivamente mi fissavano ogni volta per la durata di un minuto, mentre la penna andava, o fingeva d’andare, più rapidamente che mai.
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Wickfield Wickfield Uriah Heep
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