– Un nuovo allievo, signori – disse il dottore; – Trotwood Copperfield.
Un certo Adams, che era caposquadra, uscì dal suo posto per darmi il benvenuto. La cravatta bianca gli dava l’aria d’un giovane ministro anglicano, ma egli era affabile e allegro; e mi mostrò il mio posto, e mi presentò ai vari insegnanti, con un garbo che m’avrebbe infuso la massima disinvoltura, se fosse stato possibile.
Ma era da tanto che non avevo più frequentato ragazzi simili e che non ero stato con compagni della mia stessa età, tranne Mick Walker e Fecola di Patate, ché in vita mia non m’ero mai sentito più diverso da loro. Ero così conscio d’aver assistito a scene delle quali essi non avevano idea, e d’avere acquistato un’esperienza non confacente alla mia età, al mio aspetto e alla mia condizione di scolaro, che quasi mi rimproveravo come un atto d’impostura l’essere andato a presentarmi lì come un piccolo scolaro dei soliti. Ero cresciuto, nel periodo Murdstone e Grinby, lungo o breve che potesse essere stato, così estraneo ai divertimenti e ai giuochi dei ragazzi, che sapevo di esser disadatto e maldestro nelle inezie più comuni della loro età. Tutto ciò che avevo appreso era così svaporato lontano dal mio spirito nelle sordide cure che lo avevano stretto e ambasciato da mattina a sera, che quando fui esaminato su ciò che sapevo, non sapevo più nulla, e fui assegnato all’ultima classe della scuola. Ma turbato com’ero dalla mia mancanza di destrezza nei giuochi e dalla mia ignoranza nei libri, ero ancor più turbato dalla considerazione che in ciò che sapevo ero molto più distante dai miei compagni che in ciò che non sapevo.
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