E mi misi a studiare con grande buona volontà fino all’ora del desinare (s’usciva di scuola alle tre), e andai da basso ancora con la speranza di diventare un ragazzo in qualche modo tollerabile.
Agnese era nel salotto, in attesa del padre, che era trattenuto da qualcuno nello studio. Mi venne incontro col suo bel sorriso, domandandomi se mi fosse piaciuta la scuola. Le dissi che mi sarebbe, certo, piaciuta moltissimo; ma che in principio mi ci sentivo un po’ impacciato.
– E voi non siete mai stata a scuola? – dissi.
– Oh, sì! Tutti i giorni.
– Ah, ma voi intendete qui, a casa vostra?
– Papà non tollererebbe che io andassi altrove – ella rispose, sorridendo e scotendo il capo. – La sua padroncina deve esser sempre presente in casa, capite.
– Egli certamente vi vuol molto bene – dissi.
Ella accennò di «sì», e andò alla porta a sentire se venisse su, per andargli incontro sulla scala. Ma siccome non sentì nulla, tornò indietro.
– La mamma morì quando io nacqui – ella disse, in tono calmo. – Conosco soltanto il suo ritratto, che è da basso. Vidi ieri che lo guardavate. Indovinaste di chi era?
Dissi di sì, perché le somigliava tanto.
– Anche papà dice così – osservò Agnese, compiaciuta. – Sentite, ecco papà che viene.
Il suo tranquillo volto s’irradiò tutto nell’atto ch’ella si mosse a incontrarlo, ed essi entrarono, tenendosi per mano. Egli mi salutò cordialmente; e mi disse che dovevo esser contento d’aver la guida del dottor Strong, che era il migliore degli uomini.
– Vi sono alcuni, forse.
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Conosco Agnese Sentite Strong
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