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      – Mi domando – egli mormorò – se la mia Agnese non sia stanca di me. Io invece non mi stancherei mai di lei! Ma è diverso, assolutamente diverso.
      Parlava a sé stesso, non a me; così non dissi nulla.
      – Una vecchia casa uggiosa – egli disse – e una vita monotona; ma io debbo sentirmela vicina; debbo tenermela vicina. Se il pensiero che io possa morire e lasciare la mia diletta, o che la mia diletta possa morire e lasciarmi, mi sorge innanzi come uno spettro a rattristar le mie ore di felicità, non so far altro che annegarlo nel... Non disse la parola; ma andando lentamente verso il suo posto, e facendo meccanicamente l’atto di versare il vino dalla bottiglia vuota, la depose di nuovo, e si rimise a passeggiare.
      – Se è un’angoscia pensarci, quando essa è qui – egli disse – che sarebbe, se fosse lontana? No, no, no. Non posso pensarci.
      S’appoggiò contro il caminetto, e rimase assorto nei suoi pensieri così a lungo, che non seppi decidermi tra l’arrischiare di disturbarlo andandomene, e il rimanermene tranquillo dov’ero, aspettando che uscisse da quella fantasticheria. Finalmente si riscosse, e si guardò intorno, finché non incontrò i miei occhi.
      – Rimaner con noi, Trotwood, eh? – disse nel suo tono solito, e come per rispondere a qualche cosa che io avessi detto in quel punto. – Ne sono lieto. Tu ci farai compagnia. È bene averti qui. Bene per te, bene per Agnese, bene per tutti.
      – Per me, certo, signore – dissi. – Io sono felice d’essere qui.
      – Sei un bravo ragazzo! – disse il signor Wickfield.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





Agnese Trotwood Agnese Wickfield