Dal mio sgabellino, che era una specie di torre d’osservazione, lo osservai ripigliare la lettura, dopo la sua esclamazione di entusiasmo, e seguir le righe con l’indice, mentre le narici, che aveva sottili e aguzze, con segni di scaltrezza, gli si allargavano e si contraevano in modo singolarissimo: pareva che ammiccassero invece degli occhi, che non ammiccavano mai.
– Immagino che siate già molto innanzi nella legge – dissi, dopo averlo guardato per qualche tempo.
– Io, signorino Copperfield? – disse Uriah.
– Oh, no. Io sono una persona modestissima.
Osservo che, riguardo alle sue mani, non avevo fantasticato: perché spesso si spremeva le palme l’una contro l’altra, come per asciugarsele e scaldarsele, e che se le sfregava di tanto in tanto, furtivamente, sul fazzoletto.
– So benissimo d’esser la più modesta persona al mondo – disse Uriah Heep, umilmente – di fronte agli altri. Mia madre parimenti è una persona molto modesta. Abitiamo in una casa modesta, signorino Copperfield; ma siamo tanto contenti. Mio padre aveva anche lui una professione modesta: era becchino.
– E ora che fa? – chiesi.
– Ora partecipa della gloria celeste, signorino Copperfield – disse Uriah Heep. – Ma dobbiamo essere contenti. Quanto son contento di stare col signor Wickfield!
Chiesi a Uriah se stesse da molto col signor Wickfield.
– Ci sto da quattro anni, signorino Copperfield – disse Uriah chiudendo il libro, dopo aver accuratamente notato il punto dove aveva interrotto la lettura. – Da un anno dopo la morte di mio padre.
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