Era seriamente e dignitosamente retta da un sano sistema: in tutto si chiamava in causa l’onore e la buona fede dei ragazzi; con la intenzione dichiarata di tener conto di quelle qualità, se non se ne mostrano indegni. E il sistema dava risultati meravigliosi. Sentivamo tutti d’avere una parte nel reggimento della scuola, e nel sostenerne l’onore e la dignità. Per conseguenza eravamo tutti vivamente affezionati all’istituto – io fra gli altri, e non seppi mai, in tutto il tempo che ci rimasi, che qualcuno dimostrasse di non esserlo – e studiavamo pieni di buona volontà, e col desiderio di fargli onore. Avevamo delle magnifiche partite di giuochi, fuori delle ore di scuola, e molta libertà; ma anche liberi ci comportavamo bene, e in città ricordo che di noi si parlava con lode, e di rado compromettevamo, con la nostra condotta e i nostri modi, la reputazione del dottor Strong, e dell’istituto del dottor Strong.
Alcuni degli allievi meno giovani erano a pensione in casa del dottore, e per loro mezzo appresi, di seconda mano, alcuni particolari della storia del dottore. Come non fosse ancora trascorso un anno da che egli aveva sposato la bella signora da me veduta nello studio, e che l’aveva sposata per amore, perché ella non aveva un soldo, e aveva un mucchio di parenti poveri (così dicevano i miei compagni) pronti ad assediare il dottore fuori di casa o in casa. Appresi inoltre che l’atteggiamento riflessivo del dottore doveva attribuirsi al suo continuo affannarsi nella ricerca delle radici greche: cosa che, nella mia ingenuità e nella mia ignoranza, supposi fosse una mania botanica del dottore, anche perché egli guardava sempre per terra quando passeggiava, sin che non seppi che quelle erano radici di parole, da servire a un nuovo dizionario da lui vagheggiato.
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Strong Strong
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