Ricordo che si convenne, per consenso unanime, che l’India fosse un paese calunniato, e non avesse nulla di sgradevole, salvo qualche tigre e un po’ di calore nelle ore più calde del giorno. Dal canto mio, consideravo Jack Maldon come un Sindbad moderno, e me lo immaginai l’amico del cuore di tutti i raià d’Oriente, seduto sotto un baldacchino e occupato a fumare in pipe d’oro attorcigliate, lunghe un miglio, se fossero state raddrizzate.
La signora Strong cantava con molta grazia: l’avevo molte volte udita cantar da sola. Ma, sia che non osasse cantare in pubblico, o non si sentisse in vena quella sera, il fatto sta che non cantò affatto. Si provò in un duetto, con suo cugino Maldon; ma non poté neanche intonarlo; e dopo, allorché tentò di cantar sola, benché avesse cominciato con molta dolcezza, la voce improvvisamente le mancò, e la lasciò piena d’ambascia, col capo abbandonato sulla tastiera. Il buon dottore disse che quella sera ella era nervosa, e, a confortarla, propose una partita a carte; nelle quali egli era così esperto come nell’arte di sonare il trombone. Ma notai che il Vecchio Soldato subito se lo prese a compagno, costituendosi sua direttrice, istruendolo nei preliminari del giuoco, e facendosi consegnare tutto il denaro ch’egli aveva in tasca.
Il giuoco fu allegro, non meno allegro per gli sbagli del dottore, che ne commetteva in numero illimitato, nonostante la strenua vigilanza delle farfalle, e con grande loro desolazione. La signora Strong non aveva voluto prender parte al giuoco, dicendo di non sentirsi bene; e suo cugino Maldon s’era scusato dicendo che doveva ancora finire di far le valige.
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