Il signor Dick andava matto per il panpepato. A fargli più gradevoli quelle sue visite, mia zia m’aveva incaricato di aprirgli un credito da un pasticciere, con la condizione espressa di non servirgli mercé in quantità maggiore del valore d’uno scellino al giorno. Questo, e l’invio a mia zia di tutti i conticini dell’albergo ov’egli dormiva, prima che fossero pagati, mi fecero sospettare che gli fosse permesso soltanto di far tintinnare in tasca il denaro, ma non di spenderlo. Appresi dopo che era proprio così, o che almeno vigeva un accordo fra mia zia e lui, perché doveva giustificarle ogni spesa. Non avendo la minima idea d’ingannarla, e desiderando sempre di farle piacere, egli con quel mezzo era costretto ad esser cauto nell’impiego del denaro. Su questo punto, come su tutti gli altri possibili e immaginabili, il signor Dick era persuaso che mia zia fosse la più accorta e meravigliosa donna del mondo; come ripetutamente mi diceva con la massima segretezza, e sempre all’orecchio.
– Trotwood – disse il signor Dick con un’aria di mistero, un mercoledì, dopo avermi fatta la stessa confidenza; – chi è l’uomo che si nasconde nei pressi di casa nostra e che le mette paura?
– Che mette paura a mia zia, signor Dick?
Il signor Dick accennò di sì.
– Credevo che nulla l’avrebbe spaventata – egli disse – perché essa è... – qui mi bisbigliò all’orecchio: – non lo dire... la più accorta e meravigliosa donna del mondo. – Detto questo,si trasse indietro, per goder dell’effetto che le sue parole non avrebbero potuto mancare di produrre.
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