Siccome anch’io ero molto affezionato al signor Dick e desideroso del suo benessere, i miei timori inclinarono verso questa ipotesi; e per molto tempo non spuntò mercoledì che non mi tormentasse il presentimento di non vederlo, come il solito, apparire accanto al cocchiere sulla diligenza. Pur nondimeno, apparve sempre, sorridente e felice con la sua testa grigia; e non mi disse più sillaba mai dell’uomo che aveva il potere di far paura a mia zia.
Quei mercoledì, che erano molto felici per me, erano i giorni più felici della vita del signor Dick. Egli fu subito noto a tutti gli allievi; e, benché non partecipasse attivamente ad alcun giuoco, tranne che a sciogliere il volo all’aquilone, prendeva vivamente a cuore tutti i nostri divertimenti, come uno di noi. Quante volte lo vidi intento a una partita di palline o di trottole, con una faccia d’indescrivibile interesse, che non osava neppur di respirare nei momenti critici! Quante volte, al giuoco delle lepri e dei levrieri, non lo vidi, dall’alto d’un poggetto, incoraggiare con grida tutto il campo, agitando in aria il cappello sulla sua testa grigia, dimentico della testa di Carlo I il Martire, e di tutto ciò che le si riferiva. Quante ore d’estate, passate ad assistere al giuoco delle bocce, non gli parvero semplici istanti beati! Quante volte in inverno non lo vidi col naso livido, nella neve e nel vento, guardare, picchiando con entusiasmo i guanti di lana, i ragazzi che sdrucciolavano sul ghiaccio! Tutti gli volevano bene, e la sua abilità in certe inezie era prodigiosa.
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