Si sedeva sempre in un certo angolo, su un certo sgabello, che per lui poi venne denominato «Dick»: se ne rimaneva lì con la testa grigia curva in avanti, ad ascoltare attentamente tutto ciò che si diceva, con una profonda venerazione per la scienza che non era stato mai capace di conquistare.
E questa venerazione il signor Dick la estendeva al dottore, che giudicava il più sottile e perfetto dei filosofi viventi e vissuti. Ci volle del tempo prima che il signor Dick si decidesse a parlargli a testa coperta; e anche quando fra lui e il dottore s’erano già stretti vivi rapporti di amicizia, e si vedevano passeggiare per ore insieme verso quel lato del cortile al quale da noi si dava il nome di Passeggiata del Dottore, il signor Dick si cavava di tanto in tanto il cappello in segno di rispetto per la sapienza e la dottrina del compagno. Non seppi mai come il dottore cominciasse, in quelle passeggiate, a legger dei brani del famoso dizionario; forse gli parve, le prime volte, come di leggerli a sé stesso. Però, prese quell’abitudine; e il signor Dick, in ascolto con un viso fulgido di piacere e d’orgoglio, credeva, nell’imo cuore, che il dizionario fosse il più delizioso libro del mondo.
Rivedendoli in mente passar su e giù innanzi alle finestre della scuola – il dottore che legge, con un sorriso di compiacenza, un casuale tratto arguto del manoscritto, o con un grave moto del capo; e il signor Dick che lo ascolta incantato dal più vivo interesse, mentre il suo povero cervello veleggia Dio sa dove, sulle ali delle parole difficili – penso a quella scena come a uno degli spettacoli più dolci e calmi ai quali io abbia mai assistito.
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