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      – Oh, se è veramente per questo, signorino Copperfield – disse Uriah – e non è la nostra umiltà che ve lo impedisce, volete venir questa sera? Ma se è per l’umiltà delle nostre condizioni, non vi fate uno scrupolo di confessarlo, signorino Copperfield; perché noi sappiamo benissimo ciò che siamo.
      Dissi che ne avrei parlato col signor Wickfield, e che se egli me lo avesse permesso, e non ne avevo il minimo dubbio, sarei andato con piacere. Così alle sei, quella sera, che era una di quelle in cui lo studio si chiudeva presto, annunziai a Uriah d’esser pronto a seguirlo.
      – La mamma sarà veramente orgogliosa – egli disse, avviandoci insieme. – Cioè sarebbe orgogliosa, se non fosse un peccato, signorino Copperfield.
      – Eppure questa mattina non avete esitato a creder me orgoglioso – io risposi.
      – Oh no, signorino Copperfield! – rispose Uriah. – Oh, credetemi pure. Non ho avuto mai un pensiero simile. Non v’avrei giudicato orgoglioso, se ci aveste considerati troppo umili per voi. Perché noi siamo tanto umili.
      – Avete studiato molto la legge in questi ultimi tempi? – chiesi per cambiar discorso.
      – Oh, signorino Copperfield – egli disse con accento d’infinita umiltà; – le mie letture non hanno la pretesa d’esser considerate studi. A volte, la sera, mi occupo per un’ora o due a leggere Tidd.
      – Lettura difficile, immagino – dissi.
      – Per me a volte è difficile – rispose Uriah. – Ma non per una persona d’ingegno, credo.
      Dopo aver stamburellato, camminando, col medio e l’indice della destra, un’arietta sul mento, aggiunse:


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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