– Vi sono delle espressioni, sapete, signorino Copperfield... parole e denominazioni latine... nel Tidd, che sono difficilissime per un lettore della mia modesta intelligenza.
– Vi piacerebbe d’apprendere il latino? – dissi vivamente. – Ve lo insegnerò con piacere, mentre lo imparo io.
– Oh, grazie, signorino Copperfield – rispose, scotendo il capo. – Certo è un tratto di gran bontà, da parte vostra, farmi una simile offerta; ma la mia umiltà m’impedisce d’accettarla.
– Sciocchezze, Uriah!
– Oh, veramente mi dovete scusare, signorino Copperfield. Ve ne sono sinceramente grato. Sarebbe un gran piacere per me, vi assicuro, accettare; ma io sono troppo modesto per tanto. V’è abbastanza gente disposta a calpestarmi per la mia condizione d’umiltà, perché io voglia aumentarla con l’irritare i sentimenti di chi è istruito. La dottrina non è cosa per me. Una persona della mia condizione fa bene a non aspirarvi. Se egli deve far la sua strada nel mondo, deve farla modestamente, signorino Copperfield.
Non lo avevo visto mai con la bocca così larga, o con grinze così profonde nelle guance, come nell’atto di manifestare quei suoi sentimenti, e di scuotere il capo, e di contorcersi modestamente.
– Credo che abbiate torto, Uriah – dissi. – Oso dire che vi sono parecchie cose che io potrei insegnarvi, se voleste impararle.
– Oh, non ne dubito, signorino Copperfield – egli rispose; – neppur per ombra. Ma siccome non siete in una condizione modesta voi, non giudicate forse bene quelli che vi si trovano.
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