Non voglio irritare quelli che son migliori di me istruendomi. Grazie. Io son troppo modesto. Ecco la mia modesta abitazione, signorino Copperfield.
Dalla via entrammo direttamente in una stanza bassa, arredata all’antica. Vi trovammo la signora Heep, che era un po’ più piccola, ma la perfetta immagine del figlio. Ella mi ricevette con la massima umiltà, e si scusò con me perché dava un bacio al figlio, osservando, che modesti come essi erano, coltivavano i loro legittimi affetti con la persuasione di non offendere nessuno. La stanzia era perfettamente decorosa, metà salotto e metà cucina, ma per nulla affatto bella. Le tazze per il tè erano pronte sulla tavola, e la teiera bolliva sul focolare. C’era un canterano col piano a scrivania, perché Uriah la sera potesse leggere o scrivere; e sopra la cartella azzurra d’Uriah piena di carte, c’era una schiera di libri d’Uriah capitanata dal signor Tidd; una credenza nell’angolo; e i mobili soliti. Non ricordo che alcun oggetto, singolarmente considerato, avesse un aspetto di stento, di disagio e di privazione; ma l’aveva la stanza, giudicata in complesso.
Forse, l’uso delle gramaglie faceva parte dell’umiltà della signora Heep. Nonostante il gran tempo trascorso dal decesso del signor Heep, ella portava ancora il lutto. Credo che vi fosse qualche lieve derogazione nel cappellino; ma il resto era precisamente funereo come nei primi giorni della morte del marito.
– Questo certo è un giorno da ricordarsi, caro Uriah – disse la signora Heep facendo il tè: – il giorno che il signorino Copperfield ci fa una visita.
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