– Oh, mi son sempre innamorato come un ragazzo, uno studente – dissi, ridendo a mia volta, ma non senza un po’ di confusione. – I tempi sono cambiati ora, e immagino che un giorno o l’altro m’innamorerò in modo terribilmente serio. La mia meraviglia, Agnese, si è che a quest’ora anche voi non siate nella stessa condizione.
Agnese rise di nuovo, e scosse il capo.
– Oh, io so che non ci siete! – dissi – perché se ci foste, me lo avreste detto. O almeno – poiché le vidi un tenue rossore nel volto – me lo avreste lasciato indovinare. Ma non c’è nessuno che io conosca, che meriti di amarvi, Agnese. Deve presentarsi qualcuno di carattere più nobile e d’una dignità maggiore di quanti ne ho visti qui, perché io vi dia il mio consenso. In avvenire terrò d’occhio tutti i vostri ammiratori; e, v’assicuro, che sarò esigentissimo con quello che sarà prescelto.
Avevamo parlato, fino allora, un po’ scherzosamente, un po’ seriamente, nel tono che ci era abituale nelle nostre relazioni familiari, cominciate al tempo dell’infanzia. Ma Agnese, levando improvvisamente gli occhi ai miei, e parlando in tono diverso, disse:
– Trotwood, ho una cosa da domandarvi, e forse, per lungo tempo, non avrei più l’occasione di domandarvela. È una cosa che non domanderei a nessun altro. Avete osservato un graduale cambiamento in papà?
Io lo avevo osservato, e m’ero spesso domandato se anche lei non se ne fosse accorta. E dovetti mostrarlo, allora, in viso; perché nei suoi occhi, che si abbassarono subito, scorsi delle lagrime.
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Agnese Agnese Agnese
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