Ero uscito da un’altra porta, e stetti fermo nella via, come se fossi veramente straniero sulla terra; ma le spinte e le gomitate poco cerimoniose che mi pigliavo nei fianchi, mi fecero riprendere la via dell’albergo, dove entrai rimuginando le splendide visioni alle quali avevo assistito; e dove fino all’una, dopo aver mangiato delle ostriche e bevuto un po’ di birra, me ne stetti sempre con quelle visioni innanzi, contemplando il fuoco della sala del caffè.
Ero così pieno della rappresentazione, e del passato – perché essa era, in un certo modo, come una fulgida trasparenza, a traverso la quale vedevo svolgersi la mia vita anteriore – che non so quando la persona d’un bel giovanotto, vestito con una negligenza elegante che io ho ragione di ricordare, divenne ai miei occhi una figura concreta. Ma ricordo che m’accorsi della sua compagnia, senza averlo veduto entrare – mentre sedevo ancora meditabondo accanto al fuoco della sala del caffè.
Finalmente, mi levai per andare a letto, con gran sollievo del cameriere assonnato, che era stato assalito dal nervoso alle gambe, e lì, oltre il tramezzo, le percoteva, le assoggettava a ogni specie di contorsioni. Nell’andar verso la porta, passai accanto al giovane ch’era entrato non sapevo quando, e lo vidi distintamente. Mi voltai subito, tornai indietro, guardai di nuovo. Egli non mi riconosceva, ma io immediatamente lo riconobbi.
In un altro momento forse non avrei avuto la fiducia o l’ardire di parlargli, e avrei rimandato la cosa al giorno dopo, e avrei potuto perderlo.
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