Ne so già abbastanza per il mio scopo. So d’essere già abbastanza uggioso per me così come sono ora.
– Ma la gloria... – stavo cominciando.
– Oh, romantica Margheritina! – disse Steerforth, ridendo sempre più cordialmente; – perché darmi il fastidio di far spalancare la bocca e battere le mani a quattro topi di biblioteca? Lasciamo questo fastidio a un altro. Sia per lui la gloria, e buon pro gli faccia!
Io ero umiliato d’aver commesso un così grave errore, e fui lieto di cambiare discorso. Fortunatamente non era difficile, perché Steerforth sapeva passare da un soggetto all’altro con una speciale leggerezza e spensieratezza.
Dopo essere andati in giro, in visita di curiosità, ci rifocillammo; e il breve giorno invernale trascorse via così presto, che era quasi buio quando la diligenza si fermò con noi a Highgate, innanzi a un’antica casa di mattoni, sulla sommità d’una collina. Una signora attempata, ma non ancora vecchia, con un portamento altero e un bel viso, era sull’ingresso, al nostro arrivo; e salutando Steerforth come «Mio caro Giacomo» se lo strinse fra le braccia. Egli mi presentò a quella signora, dicendo ch’era sua madre, ed ella mi diede un pomposo benvenuto.
La casa era vecchia, ma elegante, molto tranquilla e ordinata. Dalle finestre della camera che mi venne assegnata, vedevo tutta Londra, lontano, immersa come in un grande vapore, rotto qua e là da tremolanti punti luminosi. Rivestendomi, ebbi appena il tempo di dare uno sguardo ai mobili solidi, ai lavori d’ago o di ricamo nelle cornici (fatti, immaginai, dalla madre di Steerforth, quand’era ragazza) e ad alcuni ritratti a matita di signore dai capelli incipriati e dalla vita stretta, traballanti sulle pareti alle fiamme del caminetto, acceso allora, che scoppiettava e schizzava scintille, perché fui chiamato per il desinare.
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