V’era nella sala da pranzo un’altra donna, piccola, magra, scura, niente affatto bella, ma pur con certi sguardi che attrassero la mia attenzione: forse perché io non m’ero aspettato di vederla; forse perché mi trovai a sedere di fronte a lei. Aveva i capelli neri e occhi ardenti e neri, ed era sottile, e aveva una cicatrice alle labbra. Una vecchia cicatrice – l’avrei detta, piuttosto, cucitura, perché non era scolorata, e s’era rimarginata da anni – che le aveva attraversato la bocca fin sul mento, ma che ora, dal mio posto, era troppo visibile, tranne sul labbro superiore, che era rimasto deformato. Mi dissi naturalmente ch’ella aveva circa trent’anni, e che desiderava di maritarsi. Era un po’ sciupata – come una casa che aspettasse da tempo d’essere appigionata; pure aveva, come ho già detto, certi sguardi che attraevano. La sua sottigliezza sembrava l’effetto d’un intimo fuoco devastatore, che le si sprigionava dagli occhi.
Mi fu presentata come la signorina Dartle; e Steerforth e la madre la chiamavano semplicemente Rosa. Seppi che viveva in casa loro, ed era da gran tempo la compagna della signora Steerforth. Mi parve che non dicesse mai ciò che voleva sapere, subito e francamente; ma vi accennasse appena, e riuscisse a molto di più con questa manovra. Per esempio, quando la signora Steerforth osservò, più per scherzo che sul serio, di temer che suo figlio ad Oxford non conducesse che una vita di dissipazione, la signorina Dartle la interruppe così:
– Oh, come? Voi sapete che io sono ignorante, e che se faccio delle domande le faccio per istruirmi, ma non è sempre così? Credevo che tutti ammettessero che quel genere di vita non sia che.
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