Nessuno avrebbe potuto pensare di metterlo in una livrea: era così altamente rispettabile. Dargli un’incombenza servile, sarebbe stato infliggere un violento oltraggio all’uomo più rispettabile del mondo. E, m’avvidi, che di questo le domestiche della famiglia erano istintivamente persuase, perché disbrigavano esse direttamente ogni faccenda, e in generale mentr’egli leggeva il giornale accanto al fuoco della dispensa.
Non avevo visto mai un uomo più riservato. Ma in quella qualità, come in tutte le altre che possedeva, non sembrava che più rispettabile ancora. Anche il fatto che nessuno sapeva il suo nome di battesimo, pareva che formasse una parte della sua rispettabilità. Nulla si poteva obiettare al suo cognome, Littimer, col quale era conosciuto. Pietro poteva essere impiccato, o Tom deportato; ma Littimer era perfettamente rispettabile.
Sarà stato per la natura veneranda della rispettabilità in astratto, ma mi sentivo particolarmente giovane alla presenza di quell’uomo. Quant’anni egli avesse, non riuscii mai a indovinare: e questo gli tornava ad onore per lo stesso titolo; perché, nella calma della rispettabilità, avrebbe potuto contar cinquant’anni, come trenta.
Prima che mi levassi, Littimer apparve in camera mia per portarmi l’acqua calda della barba (pungente riflessione!) e per spazzolarmi il vestito. Quando tirai da una parte la cortina e guardai fuori del letto, lo vidi, in un’equa temperatura di rispettabilità, non commossa dal rigido vento di gennaio, e neppur minimamente raffreddata, allinear le mie scarpe a destra e a sinistra nella prima posizione della danza, e soffiar dei granelli di polvere dal mio vestito, mentre delicatamente lo deponeva sulla sedia, come si fa con un bambino.
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