Egli ci procurò dei cavalli; e Steerforth, che sapeva tutto, mi diede delle lezioni di equitazione. Ci provvide di fioretti, e Steerforth mi diede lezioni di scherma: di guantoni, e cominciai, sotto lo stesso maestro, a progredire nel pugilato. Non mi curavo affatto che Steerforth mi trovasse novizio in quelle discipline, ma mi rincresceva di mostrar la mia mancanza di abilità innanzi al rispettabile Littimer. Non avevo, alcuna ragione per sospettare che lui s’intendesse di qualche cosa in quelle arti; ché non mi fece mai supporre nulla di simile, neppure da tanto come dalla vibrazione di una delle sue rispettabili palpebre; pure tutte le volte ch’egli era presente, mentre noi ci esercitavamo, mi sentivo il più acerbo e inesperto di tutti i mortali.
Mi diffondo molto intorno a quest’uomo, perché allora mi fece un’impressione particolare, e per quello che avvenne dopo.
La settimana trascorse piacevolissima. Doveva passare rapidamente per uno affascinato come me; e pure mi diede tante occasioni di conoscere meglio Steerforth, e di ammirarlo per tante e tante ragioni, che alla fine sembrava che io fossi stato con lui per un tempo molto più lungo. Più che altro nei suoi atteggiamenti a mio riguardo, mi piaceva certa maniera disinvolta e scherzosa di trattarmi come un balocco. Mi ricordava la nostra vecchia amicizia, e ne sembrava la naturale conseguenza; mi dimostrava che la nostra amicizia era rimasta inalterata; mi liberava da qualunque impaccio che avrei potuto sentire comparando i miei meriti con i suoi e misurando i miei diritti alla sua amicizia a una stregua di eguaglianza: era sopra tutto una condotta familiare, espansiva, affettuosa, che egli non usava con nessun altro.
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