Soltanto la maniera con cui trattava me l’avrebbe soggiogata. Ma per tutte queste ragioni insieme miste, credo sinceramente che quella sera, prima ch’egli se ne andasse, Peggotty gli avesse votato un vero e proprio principio di adorazione.
Egli rimase lì a desinare con me – se dovessi dire volentieri, non esprimerei la metà della grazia e della gioia con cui accettò l’invito. Entrò nella camera di Barkis leggero come l’aria, illuminandola e rallegrandola come se fosse la salute in persona. Non v’era stridore, sforzo, partito preso in tutto ciò che faceva; ma sempre una indescrivibile agilità; sembrava che non si potesse fare diversamente o meglio. Si mostrava pieno di tanta grazia, naturalezza e tatto, che il solo suo ricordo mi fa l’effetto d’incantarmi anche oggi.
Ci trattenemmo gioiosamente nel salottino, dove, sul tavolo, come una volta, trovai il libro dei Martiri, non aperto mai più dopo la mia partenza. Volli rivederne le terribili immagini, e ricordai le antiche sensazioni da esse suscitatemi, ma non le provai più. Quando Peggotty parlò di quella che chiamava la mia camera, già pronta per la notte, e della sua speranza che l’avrei occupata, prima che io potessi neppur dare una specie d’occhiata di esitazione a Steerforth, questi aveva già bello e deciso il caso.
– Naturalmente – egli disse – tu dormirai qui in tutto il tempo che staremo a Yarmouth, e io dormirò all’albergo.
– Ma condurti fin qui – risposi – per poi separarmi da te, non mi sembra atto di buona amicizia, Steerforth.
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