Era così assorto nelle sue meditazioni, che non s’era accorto affatto del mio arrivo. Non se ne sarebbe accorto anche se fosse stato meno assorto, perché i piedi toccavano in silenzio il terreno sabbioso; ma neppure il mio ingresso ebbe il potere di riscuoterlo. Stavo già ritto accanto a lui, guardandolo; e pur tuttavia se ne rimaneva ancora grave e accigliato, smarrito dietro chi sa quali pensieri.
Diede un tal balzo quando gli misi la mano sulla spalla, che fece balzare anche me.
– M’arrivi addosso – egli disse, con risentimento – come uno spettro adirato.
– Dovevo pure annunziarmi in qualche modo – risposi. – Ti distraggo da una passeggiata nelle nuvole, forse? _
– No – rispose – no.
– E da che cosa, allora? – dissi, sedendogli accanto.
– Guardavo le figurazioni dei carboni – rispose.
– Ma tu ora me le guasti – dissi io, mentre egli li smoveva rapidamente con un tizzo, facendone scaturire una miriade di scintille, che salirono pel camino, con uno strepito di vento.
– Tu non le avresti vedute – rispose. – Io odio quest’ora crepuscolare, che non è né giorno né notte. Perché hai fatto tardi? Dove sei stato?
– Mi son congedato dal mio villaggio natìo – dissi.
– E io son rimasto qui – disse Steerforth, dando uno sguardo in giro alla stanza – a pensare che tutte le persone che abbiamo viste così felici la sera del nostro arrivo, potrebbero – a giudicare dall’abbandono della casa – o esser disperse, o morte, o cadute chi sa in quale disgrazia. Davide, vorrei avere avuto un padre sagace in questi venti anni.
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Steerforth
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