– Mio caro Steerforth, che hai?
– Vorrei con tutta l’anima mia che fossi stato guidato meglio! – esclamò. – Vorrei con tutta l’anima mia potermi guidare meglio!
V’era nei suoi modi uno scoraggiamento stizzoso che mi sorprendeva. Era così cambiato, che non lo riconoscevo più.
– Varrebbe molto meglio essere questo povero Peggotty o quel suo semplicione di nipote – egli disse, levandosi e poggiandosi, sempre accigliato, contro la cappa del camino, col viso rivolto al fuoco – ch’essere ciò che sono, e anche venti volte più ricco e venti volte più istruito di quel che sono, per tormentarmi come ho fatto da una mezz’ora in questo battello del diavolo!
Ero così confuso dal suo mutamento, che in principio non potei che continuare a guardarlo in silenzio, mentre egli con la testa appoggiata alla mano, non faceva che contemplare tristamente il fuoco. Finalmente lo pregai, con la maggiore sollecitudine, di dirmi che gli fosse accaduto per essere in quello stato, e di farmi partecipe del suo affanno, se non avessi potuto dargli qualche consiglio. Non mi lasciò finire, e si mise a ridere – con evidente sforzo prima, ma poi con la solita gaiezza:
– Zitto, non è nulla, Margheritina, nulla! – egli rispose. – Già ti dissi all’albergo in Londra che a volte per me stesso non so essere che un compagno uggioso. Ho sofferto un incubo proprio ora... credo proprio d’esser stato soggetto d’un incubo. Certe volte la noia mi riempie la mente delle vecchie fiabe delle nutrici, e le credo vere. Credo d’essermi considerato, un momento fa, quel cattivo ragazzo, che per non aver ascoltato i consigli della nonna diventò preda dei leoni.
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