– Conosci la gigantessa di cui si parla, Margheritina? – chiese Steerforth.
Fui costretto a confessare – e mi vergognavo di essere colto in fallo innanzi a Littimer – che non conoscevo affatto la signorina Mowcher.
– Allora la conoscerai – disse Steerforth – perché è una delle sette meraviglie del mondo. Quando viene la signorina Mowcher, falla entrare.
Sentivo una certa curiosità e una certa ansia intorno a quella signorina, anche perché Steerforth scoppiava a ridere alle mie domande, e rifiutava assolutamente di rispondermi. Rimasi, perciò, in uno stato di intensa aspettazione finché, dopo una mezz’ora che la tavola era stata sparecchiata e noi stavamo con la nostra bottiglia di vino innanzi al fuoco, la porta si aperse, e Littimer, con la sua solita serenità e imperturbabilità, annunciò:
– La signorina Mowcher.
Guardai sulla soglia e non vidi nulla. Guardavo ancora la soglia, pensando che la signorina Mowcher indugiasse a mostrarsi, quando, con mia gran meraviglia vidi dondolare presso un divano che era fra me e la porta una nanerottola fra i quaranta e i quarantacinque anni, dalla testa grossa e dal viso largo, dagli occhi grigi pieni di malizia e le braccia così piccole che fu costretta, per poter metter il dito sul naso camuso mentre sbirciava in aria astuta Steerforth, d’andare col naso incontro al dito a metà strada. Il mento, che era duplice, era tanto grasso che e nascondeva interamente i nastri del cappellino, il nodo e tutto. Di gola non appariva traccia; non metteva conto di parlare neppure di busto e di gambe; perché, sebbene ella fosse di statura ordinaria fin dove avrebbe dovuto essere la vita, e benché terminasse, come terminano in generale, gli esseri umani, con un paio di piedi, era così piccola che stava contro una sedia comune, dopo avervi deposto certo suo borsone o sacco, come di fronte a un tavolino.
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