Ella aveva anche una maniera singolare d’ascoltare ciò che le si diceva, o d’attendere una risposta a ciò che aveva detto, o di fermarsi maliziosamente con la testa da un lato, con un occhio volto in su, come una gazza. Ero assolutamente meravigliato, e la guardavo fisso, assolutamente incurante, temo, delle norme di buona creanza.
Ella frattanto s’era tirata la sedia a fianco, ed era occupatissima a cavar dal sacco (affondandovi il minuscolo braccio fino alla spalla ad ogni tuffo) un gran numero di boccettine, spugne, pettini, pennelli, spazzole, pezze di flanella, ferri da arricciare, e altri oggetti che ammucchiava sulla sedia. Interruppe improvvisamente quella occupazione, e disse a Steerforth, con mio gran stupore:
– Come si chiama il vostro amico?
– Il signor Copperfield – disse Steerforth – egli desidera di far la vostra conoscenza.
– Bene, allora, la farà. Mi sembrava appunto che lo desiderasse! – rispose la signorina Mowcher, venendo dondolando verso di me, col sacco in mano, e ridendo mentre si avvicinava.
– Avete il viso d’una pesca! – disse mentre si levava in punta di piedi, e mi prendeva la guancia tra due dita. – Mi fa venire l’acquolina in bocca. Io vado matta per le pesche. Felice di fare la vostra conoscenza, signor Copperfield.
Risposi che mi felicitavo d’aver l’onore di far la sua, e che la felicità era reciproca.
– Oh, bontà del cielo, come siete gentile! – esclamò la signorina Mowcher, con un inutile tentativo di coprirsi il viso con la minuscola mano. Ma che mondo di burle e di canzonature, che è questo!
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