Questo era rivolto a mo’ di confidenza a tutti e due, mentre la mano minuscola si ritirava dal viso, e seppelliva di nuovo tutto il braccio nel sacco.
– Che volete dire, signorina Mowcher? – disse Steerforth.
– Ah! ah! ah! Che magnifica schiera di ciurmadori che formiamo, figliuolo mio dolce! – rispose quell’atomo di donna, palpando nel sacco, con la testa da un lato e l’occhio in aria. – Guardate – e ne trasse qualcosa. – Schegge d’unghia del principe russo. Lo chiamo il principe Alfabeto Sottosopra, perché il suo nome comprende tutte le lettere alla rinfusa.
– Il principe russo è vostro cliente, vero? – disse Steerforth.
– Sicuro, bellezza mia – rispose la signorina Mowcher. – Gli taglio le unghie due volte la settimana... Alle dita delle mani e dei piedi.
– Vi paga bene, voglio sperare? – disse Steerforth.
– Paga come parla, figliuolo mio... col naso – rispose la signorina Mowcher. – Non guarda tanto per il sottile, come certi che soffrono le pene dell’inferno a pagare. Lo direste subito, se vedeste i suoi mustacchi. Rossi per natura, ma neri per arte.
– Per l’arte vostra, naturalmente – disse Steerforth.
La signorina Mowcher fece un cenno di assenso. – Fu costretto a ricorrere a me. Non poteva farne a meno. La tintura non resisteva al clima: poteva correre in Russia, ma non qui. Voi non avete visto mai, in vita vostra, un principe così rugginoso. Pareva ferro vecchio.
– È perciò che lo avete chiamato ciurmadore, in questo momento? – chiese Steerforth.
– Oh, voi siete un bel mobile, veramente!
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