– Neanche io – dissi.
– Bene; allora – disse la signorina Mowcher – acconsento a vivere. Ora, figliuolo diletto, venite a mettervi nelle mani del carnefice per essere ucciso.
Questo era un invito a Steerforth d’andarsi a mettere fra le sue mani; e l’amico si sedette di schiena alla tavola, e col viso sorridente rivolto a me, sottomise il capo all’esame di lei, evidentemente con nessun altro scopo che quello di divertirsi. Era uno strano spettacolo veder la signorina Mowcher chinarsi su di lui e guardar con una lente d’ingrandimento quella ricca profusione di capelli neri.
– Siete un bel giovane – disse la signorina Mowcher, dopo una breve osservazione. – In un anno, se non ci fossi io, avreste il cranio calvo come un frate. Un altro mezzo minuto, mio giovane amico, e noi metteremo i vostri riccioli in grado di resistere per altri dieci anni.
Dicendo così, versò un po’ del contenuto di una boccettina su una pezza di flanella, e poi, impartendo un po’ delle virtù di quella miscela a uno spazzolino, cominciò con lo spazzolino e la pezza a sfregare la testa di Steerforth con la maggiore rapidità possibile, non lasciando mai di parlare.
– Conoscete Carlo Pyegrave, il figlio del duca? – ella disse. – Lo conoscete? – e fece capolino sulla fronte di Steerforth.
– Un poco – disse Steerforth.
– Che uomo quello! e che favoriti! Se le sue gambe fossero bene appaiate (il che non è) non avrebbero rivali. Credereste ch’egli ha tentato di far a meno di me... un ufficiale della guardia del corpo, poi!
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