– Cercherà di condursi bene – disse l’Emilietta. – Voi non sapete ciò che ci ha detto. Non è vero, zia, che non lo sanno?
Peggotty scosse il capo in atto di compassione.
– Sì, cercherò – disse Marta – se voi mi aiuterete ad andarmene. Non potrei condurmi peggio di qui. Oh! – disse con un brivido di terrore – mandatemi lontano di qui dove tutti mi conoscono da bambina.
Emilia stese la mano, e Cam vi mise il borsellino. Essa lo prese, scambiandolo per il proprio, e fece un passo innanzi; ma, avvedendosi dell’errore, si voltò e venendogli da presso (egli s’era messo accanto a me) glielo mostrò.
– È tuo, Emilia – potei sentirgli dire. – Non ho nulla al mondo che non sia tuo, cara. A me non serve, se non per te.
Di nuovo si videro delle lagrime negli occhi di Emilia, ma ella si volse e andò da Marta. Non so che cosa le dicesse. La vidi chinarsi su di lei, e metterle il denaro in grembo, bisbigliandole qualcosa, come se domandasse se fosse sufficiente. «Più che sufficiente!» disse l’altra, e le prese la mano e gliela baciò.
Poi Marta si levò, e avvolgendosi nello scialle, vi nascose il viso, e piangendo forte si diresse lentamente alla porta. Si fermò un momento prima di uscire, come per dir qualche cosa o tornare indietro; ma non una sillaba le varcò le labbra. Uscì, continuando il suo gemito pauroso e angoscioso nello scialle.
Come la porta si chiuse, l’Emilietta guardò noi tre con una rapida occhiata, e poi si nascose il viso fra le mani, e scoppiò in singhiozzi.
– Ma no, Emilia – disse Cam, battendole amorevolmente sulla spalla.
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