– No, mia cara. Non devi piangere così, cara.
– Oh, Cam! – ella esclamò, continuando a piangere angosciosamente. – Io non sono così buona come dovrei essere, Cam. So che a volte non sento in cuore la gratitudine che dovrei sentire, no.
– Sì, sì, che la senti, ne sono certo – disse Cam.
– No, no, no! – esclamò l’Emilietta, singhiozzando e scotendo il capo. – Non sono buona come dovrei essere. Nemmen per sogno, nemmen per sogno!
E continuava a piangere, come se il cuore le si volesse rompere.
– Io metto troppo a prova il tuo bene, lo so! – essa singhiozzò. – Spesso sono imbronciata e capricciosa con te, quando dovrei essere tanto diversa. Tu con me non sei mai così. Perché dunque io debbo essere così con te, quando non dovrei che esserti grata e farti felice?
– Tu mi fai sempre felice, cara – disse Cam. – Sono felice anche a guardarti soltanto. Sono felice tutto il giorno, pensando a te.
– Ah, non basta! – ella esclamò. – È così perché tu sei buono; non perché sia buona io. Oh, mio caro, sarebbe stato molto meglio per te, se tu avessi voluto bene a un’altra più seria e più degna di te, una donna che si fosse legata tutta a te, e non vana e capricciosa come me.
– Poverina! – disse Cam, sottovoce. – Marta l’ha sconvolta tutta.
– Per piacere, zia – singhiozzò Emilia – vieni qui, che appoggi la testa sulla tua spalla. Oh, io sono infelice, stasera, zia! Oh, io non sono buona come dovrei essere! Non lo sono, lo so.
Peggotty s’era subito andata a sedere innanzi al fuoco. L’Emilia, in ginocchio, con le braccia intorno al collo, la guardava supplichevole.
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