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      XXIII.
      LA SCELTA D’UNA PROFESSIONE
     
      La mattina, quando mi svegliai, pensai molto all’Emilietta e alla sua commozione della vigilia, dopo l’uscita di Marta. Mi parve d’essere stato messo a parte in sacra confidenza delle sue debolezze e tenerezze intime, e rivelarle, anche a Steerforth, non sarebbe stato onesto. Per nessuno al mondo provavo il dolce sentimento che sentivo per la leggiadra creatura che era stata mia compagna di trastulli, e alla quale allora volevo, come sono stato sempre persuaso e sarò sempre fino al mio ultimo giorno, sinceramente bene. La ripetizione ad orecchie estranee – fossero anche quelle di Steerforth – di ciò che ella non aveva potuto nascondere quando per un puro caso avevo potuto leggere nel cuor suo, mi parve sarebbe stata una cattiva azione, indegna di me, indegna della luce della nostra pura infanzia, che vedevo sempre cingerle la testa. Risolsi, perciò, di tenermi ben custodito in petto il suo segreto, che dava alla sua immagine una grazia novella.
      Mentre eravamo a colazione, mi fu consegnata una lettera di mia zia. Siccome conteneva cose sulle quali credevo che Steerforth potesse consigliarmi come chiunque altro, e sulle quali mi sarebbe stato gradito consultarlo, decisi di discuterle con lui nel nostro viaggio di ritorno. Per quel momento, avevamo abbastanza da fare nel congedarci da tutti i nostri amici. Fra essi Barkis non si mostrò l’ultimo nel dolersi della nostra partenza; e credo che, se avessimo potuto rimanere per altre quarantotto ore a Yarmouth, non avrebbe esitato ad aprire di nuovo il forziere e sacrificare un’altra ghinea.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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