– Parla, Davide. Che dicevi di quella lettera a colazione?
– Oh! – dissi, traendola di tasca. – È di mia zia.
– E che dice d’interessante?
– Mi rammenta, Steerforth – io dissi – che ho fatto questo viaggio per osservare e pensare un po’.
– Cosa che, naturalmente, hai fatto.
– Veramente non posso dirlo in modo speciale. A dirti la verità, temo che me ne sia dimenticato.
Bene, osserva ora, e ripara alla tua negligenza – disse Steerforth. – Guarda a destra,e vedrai una pianura, un po’ paludosa; guarda a sinistra, e vedrai la stessa cosa. Guarda dinanzi, e non troverai nulla di diverso; guarda di dietro, e sarà tale e quale.
Risi, e dissi che non vedevo in tutto il paesaggio nessuna professione adatta; forse a cagione della sua uniformità.
– Che dice nostra zia sull’argomento? – chiese Steerforth, dando un’occhiata alla lettera che avevo in mano. – Ti suggerisce qualche cosa?
– Ebbene, sì – io dissi. – Ella mi domanda se non mi piacerebbe d’essere procuratore. Tu che ne pensi?
– Veramente non so – rispose Steerforth, freddo. – Puoi fare il procuratore, come puoi far qualche altra cosa, immagino.
Non potei fare a meno dal ridere per questo suo giudizio d’eguaglianza di tutti i mestieri e di tutte le professioni; e glielo dissi.
– Che cosa fa il procuratore? – gli domandai.
– È una specie d’avvocato monastico – rispose Steerforth. – : Egli fa, nelle vecchie Corti del Doctor’s Commons... in un sonnolento cantuccio presso il cimitero di San Paolo... ciò che fanno gli avvocati nelle Corti di giustizia.
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