Chiamami una vettura.
Per quanto meravigliatissimo, compresi che non avevo il diritto di rifiutar di ubbidire a quest’ordine perentorio. Feci a precipizio pochi passi, e chiamai una vettura che passava vuota. Prima che potessi abbassare il predellino, mia zia, non so come, era saltata nella vettura, seguita da quella persona. Ella con la mano mi fece cenno, con tanta energia, di allontanarmi, che, sebbene fossi così confuso, le volsi le spalle all’istante; ma nello stesso momento la intesi dire al cocchiere: «Andate dovunque! Dritto innanzi!» e subito la vettura mi passò accanto, andando in su.
Mi ricordai allora ciò che m’aveva narrato il signor Dick, e che io avevo supposto fosse una sua allucinazione. Non dubitavo che quel tale fosse la persona della quale egli m’aveva parlato con tanto mistero, benché non fossi minimamente in grado d’indovinare che specie di diritto vantasse su mia zia. Dopo che ebbi preso una mezz’ora di fresco nel cimitero, vidi la vettura di ritorno. Il cocchiere si fermò accanto a me: mia zia era sola.
Ella non s’era sufficientemente rimessa dalla sua agitazione per essere in grado di fare la visita progettata. Mi fece salire nella vettura, e mi pregò di dire al cocchiere di andare un po’ su e giù al passo. Mi disse soltanto: «Mio caro figlio, non mi domandare ciò che è stato, e non me ne parlare mai». E quando si fu perfettamente rimessa, mi disse che si sentiva bene, e potemmo far la strada che ci rimaneva da fare.
Quando mi diede la borsa per pagare il cocchiere, vidi che tutto l’oro se n’era andato; non c’erano più che poche monete d’argento.
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Dick
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