V’erano inoltre vari libri giganteschi manoscritti di prove giurate, solidamente rilegati, e messi insieme in serie massicce – una serie per ogni causa – come se ogni causa fosse una storia di dieci o venti volumi. Tutto questo mi parve abbastanza dispendioso, e mi diede una piacevole idea degli affari d’un procuratore. Davo degli sguardi con crescente soddisfazione su questi e molti altri oggetti della stessa specie, quando dei passi rapidi si avvertirono nella stanza precedente, e il signor Spenlow, in una toga nera orlata di pelo bianco, entrò frettoloso, togliendosi il cappello.
Era un ometto biondo, con scarpe irreprensibili, una cravatta bianca e solino rigorosamente inamidato. Ben stretto e abbottonato, aveva dovuto perder parecchio tempo intorno alle fedine, per averle arricciate con tanta cura. Portava all’orologio una catena d’oro massiccio, che per un istante non potei non pensare che egli dovesse avere un muscoloso braccio d’oro, per cavarlo di tasca e consultarlo. Egli era vestito con tanta minuta diligenza e si presentava così impettito e rigido, che gli costava una gran fatica piegarsi, tanto che, per dare un’occhiata a qualche carta sulla scrivania, dopo essersi seduto, era costretto a muovere tutto il corpo, dal fondo della spina dorsale, come Pulcinella.
Ero stato già presentato da mia zia, ed ero stato cortesemente ricevuto. Egli ora diceva:
– E così, signor Copperfield, vi siete messo in mente d’abbracciare la nostra professione? Lo dissi per caso alla signora Trotwood, quando ebbi il piacere d’un colloquio con lei l’altro giorno – con un’altra inclinazione del corpo (ancora Pulcinella) – che qui v’era un posto vacante.
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