Il signor Spenlow mi condusse, attraverso alcuni cortili lastricati, circondati di severe case di mattoni, che compresi, dai nomi dei dottori, scritti sulle porte, essere le dimore ufficiali degli avvocati di cui Steerforth m’aveva il giorno prima fatto cenno, in una vasta e oscura sala, non dissimile, a quanto mi parve, da una cappella. Il fondo di questa sala era separato con una balaustrata dal resto; e ivi, ai due lati d’una elevata piattaforma a foggia di ferro di cavallo, seduti su antiche sedie da sala da pranzo, erano vari signori in abiti rossi e parrucche grige, che appresi essere i dottori già menzionati. Nella curva del ferro di cavallo, vidi un vecchio che ammiccava a un leggio che sembrava tolto da un pulpito. Se l’avessi incontrato in un’uccelliera, l’avrei scambiato per un gufo, ma mi fu detto che era il giudice presidente. Nello spazio entro il ferro di cavallo, più giù, vale a dire a livello del pavimento, v’erano vari altri signori del grado del signor Spenlow, come lui vestiti di toghe nere orlate di pelo bianco, seduti contro un lungo tavolo verde. Le loro cravatte mi parvero in generale rigide, e i loro sguardi fieri; ma in quest’ultimo rispetto compresi subito che facevo loro torto, perché quando due o tre di essi dovettero levarsi per rispondere a una domanda dell’alto funzionario che presiedeva, pensai di non aver assistito mai a nulla di più mansueto. Il pubblico, che si componeva d’un ragazzo avvolto in uno scialle e di un povero diavolo dall’abito frusto il quale si frugava in tasca per mangiarsi le briciole di pane che vi racimolava, si stava scaldando a una stufa posta nel centro della sala.
| |
Spenlow Steerforth Spenlow
|