I mobili erano un po’ stinti, ma abbastanza buoni per me; senza alcun dubbio, dalla finestra si vedeva il fiume.
Siccome il luogo mi piaceva, mia zia e la signora Crupp si ritirarono nella cucinetta a discutere del prezzo, mentre io me ne stavo seduto sul canapè del salottino, osando appena creder possibile che potessi essere destinato a occupare una così nobile residenza. Dopo una leale tenzone di qualche durata, le due donne tornarono, e io lessi con gioia, nel viso della signora Crupp e in quello di mia zia, che il contratto era stato firmato.
– Questi sono i mobili dell’ultimo inquilino? – chiese mia zia.
– Sì, signora – disse la signora Crupp.
– E che n’è di lui? – chiese mia zia.
La signora Crupp fu assalita da una tosse fastidiosa, in mezzo alla quale articolò con grande difficoltà:
– S’ammalò, signora, e... uc!... uc.!.. uc!... poveretta me!... ed è morto!
– Ahi! Di che è morto? – chiese mia zia. – Ah, signora, per il troppo bere – disse la signora Crupp, in confidenza – e per il fumo!
– Per il fumo? Non volete dire per i caminetti? – disse mia zia.
– No, signora – rispose la signora Crupp. – Il fumo dei sigari e delle pipe.
– Allora, Trot, non è contagioso – disse mia zia verso di me.
– No, veramente – dissi.
In breve, mia zia, vedendomi entusiasta dell’appartamentino, lo appigionò per un mese, con la facoltà di tenerlo per un anno, dopo scaduto il mese. La signora Crupp doveva provvedermi la biancheria e farmi da mangiare; tutto l’altro necessario c’era già; e la signora Crupp accennò particolarmente che si sarebbe comportata con me come verso un figlio.
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