Immagino che glielo dicessi in qualche modo, perché dopo avermi guardato attentamente per alcuni istanti, sembrò comprendere, e rispose sottovoce:
– So che farete ciò che io vi domando, se vi dico che non ci tengo. Andate via, Trotwood, per amor mio, e dite ai vostri amici di accompagnarvi a casa.
Ero già così trasformato, per l’effetto della sua presenza, che benché mi sentissi adirato contro di lei, fui assalito da un senso di vergogna, e con un brusco Buoera (che voleva dir Buonasera) mi levai, ed uscii. Mi seguirono tutti, e non feci che un salto dall’uscio del palco alla mia camera da letto, dove non c’era che Steerforth, il quale m’aiutava a spogliarmi, mentre gli dicevo che Agnese era mia sorella, e lo scongiuravo a volta a volta di darmi il cavaturaccioli per stappare un’altra bottiglia. Qualcuno, coricato nel mio letto, stette tutta la notte a dire e ripetere le stesse cose, a sproposito, in un sogno febbrile, cullato da un mare in continua agitazione. Come quel qualcuno gradatamente si concretò in me, cominciai ad ardere, e a sentir come il mio involucro esterno di pelle fosse una tavola dura; la lingua il fondo di una caldaia vuota, che, raggrumato dal lungo uso, ardesse su un fuoco lento; le palme delle mani, roventi lastre di metallo che neppure il ghiaccio riuscisse a raffreddare.
Ma ahi, l’angoscia, il rimorso e la vergogna che sentii la mattina appresso, riacquistando coscienza di me! Ahi, l’orrore di aver detto cento sciocchezze che avevo dimenticate, e alle quali non era più possibile riparare!
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