E non posso negare che mi misi a piangere. Ora non so se quello fosse, dopo tutto, il partito più savio o il più ridicolo.
– Se non foste stata voi, Agnese – dissi, voltando la testa, – non me ne sarei curato gran fatto. Ma dovevate esser proprio voi a vedermi in quello stato! Avrei preferito di morire.
Ella per un momento stese la mano – nessun’altra carezza era come la sua – al mio braccio; e mi sentii così consolato e incoraggiato, che non potei non portarmela alle labbra, e baciarla con gratitudine.
– Sedetevi – disse lietamente Agnese. – Non vi desolate, Trotwood. Se non avete fiducia in me, in chi avrete fiducia?
– Ah, Agnese! – risposi. – Voi siete il mio buon angelo.
Ella sorrise con un po’ di mestizia, mi parve, e scosse il capo.
– Sì, Agnese, il mio buon angelo. Sempre il mio buon angelo.
– Se davvero lo fossi, Trotwood, – ella rispose, – v’è una cosa alla quale terrei moltissimo.
La guardai con una domanda negli occhi; ma già con una prescienza di quello che intendeva.
– A mettervi in guardia – disse Agnese, con uno sguardo fermo, – contro il vostro cattivo angelo.
– Mia cara Agnese, – cominciai, – se volete alludere a Steerforth...
– Sì, Trotwood, – ella rispose.
– Allora, Agnese, voi gli fate un gran torto. Lui, il mio cattivo angelo, o di chicchessia! Lui, che m’è guida, sostegno e amico! Mia cara Agnese! Ora, è ingiusto e indegno di voi giudicarlo da ciò che avete visto di me l’altra sera.
– Non da ciò che ho visto di voi l’altra sera lo giudico.
– Da che, allora?
– Da molte cose.
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